La beata comodità della DAD

Ma quanto è bella la Didattica a Distanza e come mi fa comodo!

Finalmente, comodamente seduto sulla mia poltrona, nel mio ambiente, posso far lezione direttamente da casa, già solo questo è un fattore positivo (positivo…. di questi tempi è un termine “ambiguo”, meglio non essere “positivi” in certi contesti), ma il bello è che, ripeto “finalmente”, non ho più gli alunni che “rompono” con la loro presenza.

Forse quando avevo vent’anni o poco più (iniziai molto presto ad insegnare) ero anagraficamente più idoneo a gestire classi di adolescenti scatenati, forse qualche decennio fa erano meno “scatenati” di adesso, ma ormai per me è usurante dover passare il tempo della lezione con lo stress di controllarli di continuo perché non mi combinino qualche guaio (e ogni giorno ne inventano una nuova per prendermi in giro e poi spargere sui social la mia debolezza, ridendomi dietro).

Invece con la Didattica a Distanza tutto è “pulito”, filtrato, ordinato: loro sono solo tante lettere dell’alfabeto colorate, scritte in uno schermo, se non li sto interrogando (quindi se non necessitano di accendere la webcam) non vedo le loro smorfie, i loro sbadigli, le loro boccacce, le risatine insulse che significano “ti stiamo prendendo in giro”. Inoltre non possono confabulare uno con l’altro, dando quel fastidioso brusio di sottofondo che accompagna ogni lezione in presenza, loro si scrivono sulle chat, non seguono, tanto non seguirebbero in ogni caso, sono sempre annoiati e amorfi quando spiego.

Con la Didattica a Distanza oltretutto posso fare lezione non sincrona: registro la mia lezione e poi la condivido sul drive; mezz’ora di spiegazione, senza continue pause per richiamare i distratti, per svegliare gli apatici, per riportare agli ordini gli indisciplinati, senza interruzioni per ripetere dieci volte di seguito lo stesso concetto perché ti dicono “non ho capito” (probabilmente lo fanno apposta per farmi perdere tempo) ecco che in mezz’ora svolgo il programma che avrei fatto in un’ora e mezza.

E poi, vuoi mettere il potere che mi dà rimanere sempre “in cattedra” dietro ad una tastiera? Lo dimostrano anche i social, navigando sul web ognuno può dire e fare cose che dal vivo non farebbe, figuriamoci nel mio caso: sono di nuovo un “docente” che finalmente si riappropria del suo prestigio, io qui, a comandare, voi lì, ubbidienti, ad ascoltare, altrimenti sono guai!

Bello, bello, bello, un po’ faticoso, un po’ complicato capire come si usano le piattaforme, un po’ aleatorio il fatto che una volta non funziona il microfono, un’altra salta la linea, un’altra ancora non va la webcam, ma bello e comodo, ah…. che comodo! Ignoriamo quelli che non sono in grado di connettersi, sono solo dei perditempo e incapaci. Incapaci loro e incapaci anche i genitori che non sono neanche in grado di aiutare il figlio (magari disabile), ignoranti che non sono altro. E che, devo risolverglieli io i problemi economici e culturali che li attanagliano e li relegano ai margini di questa società consumistica? Comprino un nuovo computer, paghino una linea web veloce. Ah già, magari abitano in un paesucolo dove la linea non funziona granché e, data la loro bassezza, non hanno manco un lavoro per pagarsi da mangiare, figuriamoci il computer nuovo…. vedi che sono incapaci? Vadano a vivere in città, chi glielo fa fare di stare in zone rurali.

E loro, i ragazzi, pensa a come crescono bene, ognuno a casa sua, ognuno nel suo piccolo ambientino naturale, come piantine coltivate in un vasetto.

Sì, perché loro, gli utenti, i clienti, coloro che secondo un vecchio detto dei commercianti dovrebbero “avere sempre ragione” (il cliente ha sempre ragione), sono così da me coltivati al meglio: minuti giusti di lezione, somministrati come si somministrerebbe l’azoto, il fosforo o il potassio ad un cavolo.

In fondo anche a loro, piccoli adolescenti in crescita, starsene da soli a casa tutto il giorno è un buon modo per non dover affrontare quegli innumerevoli problemi emotivi che avemmo noi, sfortunati ragazzi senza tecnologia, quando ci frequentavamo.

Noi purtroppo dovevamo sederci in classi affollate, dovendo imparare a gestire un mucchio di dinamiche con i nostri pari, dovendo imparare a difenderci dagli sguardi degli invidiosi, capendo e intuendo quali erano gli sguardi dei compagni affidabili; dovevamo imparare dalla gestualità del corpo quello che gli altri pensavano veramente di noi, oggi è più facile, ce lo scrivono in stampatello sulle chat se “ci amano” o “ci odiano” noi invece lo dovevamo capire con “l’empatia”. Sarà vero quello che si scrive in chat? Mah, bisognerebbe fare uno studio scientifico statistico in proposito, ora mi annoio se ci penso.

Noi siamo cresciuti nei disagi, andando a scuola al mattino presto, sui mezzi pubblici affollati, conoscendo un mucchio di persone di ogni età, con tutte le loro discussioni e problematiche, loro hanno la fortuna di spegnere internet e di trovarsi immersi completamente nella loro vuota solitudine,

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una solitudine immensa a quell’età,

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perché se l’anziano riempie di ricordi la sua vecchiaia, il ragazzo ha solo il vuoto di speranze e utopie vane, in un mondo senza futuro.

Ma non riflettiamoci troppo su questo che poi ci intristiamo, pensiamo invece ai vantaggi di metterli a studiare “nella bambagia” sul loro cuscino preferito.

Qui mi viene spontaneo però un confronto che di nuovo mi spinge a riflettere (meglio che me lo tolga dalla mente, ma intanto ci penso un attimo su….).

Una delle torture peggiori che si applicano a delle vittime dalle quali si vuole non solo ottenere una confessione, ma soprattutto una sadica sofferenza veramente sconvolgente, che porta alla pazzia, non si basa sul dolore ma sull’assenza di sensazione.

Che angoscia ci farebbe un torturatore che, mentre siamo nudi e immobilizzati, ci minaccia di accecarci con un ferro rovente, di mutilarci orribilmente con delle lame affilate, di annegarci o soffocarci e quant’altro, ma nei nostri 8 sensi (sì perché a parte i cinque canonici ce ne sono anche altri 3: l’equilibrio, il senso di orientamento, l’ipersensibilità profonda dei movimenti ossei) i sensi la cui assenza ci darebbe più sconvolgimento sono la mancanza del tatto e dell’equilibrio.

Ora, immaginiamo di addormentarci, stando a lungo su un braccio, al risveglio quel braccio “non lo sentiamo più”. Così è la tortura peggiore: mettere la vittima in un ambiente enormemente soffice (oppure lasciarla immerso in acqua in un pozzo strettissimo per giorni, con la sola possibilità di respirare) e poi, magari dopo un bel colpo sulle orecchie per rovinare anche l’equilibrio, lasciarla “libera di muoversi”. La nausea, il disagio, la mancanza di concretezza fanno letteralmente impazzire, già prima, durante la tortura, era una sofferenza immane: pensare e non sentirsi più, ma quando si è finalmente liberi e ci si rende conto che non esiste più contatto con il corpo, si è diventati dei “morti viventi”, degli zombie!

Perciò ottimi studi universitari confermano che fin dalla nascita è fondamentale muoversi sentendo il corpo, tonificando, ruotando, cercando continuamente di orientarsi ed equilibrarsi, più ci si rotola per terra, più ci si arrampica, si salta, si corre e, soprattutto, si lotta, toccando gli altri, sentendoli, percependoli, meglio si cresce, e più si sviluppano le facoltà cognitive.

Perciò, in un mondo di cuscini reali e di contatti virtuali, ecco che i nostri adolescenti crescono nella “bambagia” cioè sono torturati ogni giorno! Ma non preoccupiamoci inutilmente, perché loro comunque vanno a scuola, prendendo pullman affollati, dove il contatto fisico stimola le risorse immunitarie, a scuola, lo si sa, si abbracciano o si picchiano (amichevolmente come si fa da sempre), a scuola sentono il disagio di stare ore e ore in posizioni “didattiche” perciò, appena possono, corrono fuori, vanno a tirare quattro calci al pallone nel prato, si mettono a camminare sulle mani o a fare la ruota, magari cascando a terra e facendosi dei lividi che ricorda a loro l’esperienza, e poi al pomeriggio o sera vanno in palestra, dove incontrano gli amici, creano rapporti di cameratismo, si incoraggiano a vicenda, si aiutano a raggiungere prestazioni sempre migliori e poi, alle gare, tifano uno per gli altri, piangono di gioia quando l’amica vince, magari perché arriva penultima, ma almeno un incontro l’ha vinto e, di nuovo, ci si abbraccia, ci si conforta, ci si consola. Si crea una intimità, emotiva, fisica, empatica.

Quindi nessuna paura, anche se molti ragazzi usano dispositivi elettronici per troppe ore, grazie alla scuola e alle palestre riprendono ritmi e tono adeguati per la loro crescita sana e robusta.

Ah già…. mi sono distratto, ora non frequentano più né la scuola né le palestre, ora stanno a casa tutto il giorno. Sì, quelli delle città magari riescono per ora a frequentare qualche amico ai giardinetti, ma quelli che abitano nei piccoli centri urbani? Quelli che per incontrare l’amica o l’amico devono, minimo, percorrere 10 km. come fanno? Stanno da soli, stanno da soli come stanno da soli i disabili, stanno da soli come stanno da soli i loro fratelli e le loro sorelle grandi, non quelli che “sballano” facendo la movida, ma quelli che cercano di dare una mano in casa e cercano un minimo di indipendenza, facendo la cameriera, il barista, la commessa, l’istruttore di palestra, l’educatore e che ora, con ristoranti, bar, negozi, palestre, oratori chiusi, hanno perso il lavoro.

Quindi mi verrebbe quasi da pensare che un’intera generazione di adolescenti sia a rischio di subire gravi ripercussioni per questa emergenza?

Non preoccupiamoci, ci siamo noi vecchi ad aiutarli, stando seduti comodamente in poltrona a far lezione a delle lettere colorate sullo schermo di un computer, pensando, presuntuosamente, di essere dei pozzi di scienza, mentre in realtà ci comportiamo in modo da distruggere un bosco meraviglioso, illudendoci di coltivare dei cavoli in un vasetto.

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