L’angoscioso silenzio dell’abisso del vuoto

Provo un’emozione importante e immediatamente voglio condividerla con una persona con cui vi è un forte legame affettivo, ma… in un istante mi rendo conto che non c’è più… L’abitudine a scambiarsi i pensieri, gli stati d’animo, l’ansia e la gioia ora è impossibile: la comunicazione viaggia in una sola direzione e precipita nel vuoto.

L’abisso si trova nel cuore, quando mi accorgo che non vi è più nessuno a ricevere il mio messaggio, una fitta acuta si irradia dal centro del torace, come una scarica elettrica che cancella la gioia, espandendosi verso ogni direzione.

Il cuore è dotato di neuroni, non formula pensieri ma è in grado di elaborare in modo autonomo gli stimoli nervosi, perciò, mentre il cervello cerca di consapevolizzare il vuoto, il cuore, sotto shock, cambia il suo ritmo.

Anche l’intestino è dotato di neuroni, anche lì metaforicamente “vi è cervello” ed ecco che quando il cuore batte con ansia, i muscoli addominali si contraggono in uno spasimo che cerca di attutire il dolore della mente. Il corpo si piega verso una posizione “fetale”, cerca sollievo atteggiandosi nella postura che più ci mette in relazione con l’abbraccio materno.

Tutto ciò dura un istante, un istante di silenzio e vuoto interiore, dove, nell’angoscia della solitudine, il cervello razionale cerca di riprendere il controllo, facendosi delle ragioni o evitando di pensare alle sensazioni, ma tutta l’immensità del pensiero emotivo è scombussolata dalla sofferenza.

Poco dopo il rumore della vita quotidiana, il frastuono dei pensieri coscienti, il rifiuto di voler pensare a ciò che si è provato, riprendono possesso del movimento: la schiena spinge per raddrizzare la postura, il respiro si allunga per cercare di portare il ritmo cardiaco verso l’equilibrio, gli occhi socchiudono leggermente le palpebre, per “far finta” di non vedere la disperazione, le labbra esprimono un senso di amarezza.

Il momento di disperazione è passato; anche se si cerca di ignorarlo, il sottofondo di sconvolgimento è presente e accompagna ogni altro gesto e pensiero. Allora occorre prenderne atto e consapevolizzare che esiste questo istante di tormento dato dal vuoto lasciato da chi non c’è più.

L’abisso terrorizza e per superare la paura occorre coraggio, cioè “l’energia vitale del cuore”.

Ogni organo o viscere “governa” un’emozione: fegato-rabbia, stomaco-nervosismo, polmoni-tristezza, ecc. il cuore governa la gioia. Perciò per avere coraggio occorre vivere con gioia. Se si ha gioia, non si ha paura. L’opposto della paura è la gioia.

Nel momento in cui si percepisce il vuoto e ci si rende conto che chi amiamo non ha più forma concreta, pur provando dolore (è inevitabile), si percepisce anche la presenza tangibile in noi dell’altra persona, che, tramite il nostro corpo, grazie a noi, è viva sul nostro stesso piano. Anche in questo caso è un istante e può essere percepito concretamente solo se nasce dalla spontaneità dello stupore di aver voluto comunicare un pensiero emotivo a chi non esiste più; se lo si cercasse apposta, si creerebbero illusioni e delusioni.

Un doppio istante di vita presente, un corpo che condivide due anime, la certezza che non c’è estinzione, rendersi conto di ciò non allevia il dolore fisico ed emotivo della mancanza, ma fa comprendere che l’esistenza non è solo quella attuale, bensì si estende in mondi più vasti, fuori da tempi e limiti dell’attuale materia.

“Il vuoto è presente, lo si può riempire con il rumore quotidiano, ma lui è sempre lì, a ricordarci la mancanza, e ciò fa soffrire. Fa soffrire perché noi viviamo, proviamo emozioni, belle e brutte, e ci è spontaneo condividerle con chi è in noi ma…. al suo posto, il vuoto ci ricorda che un pezzo di noi non c’è più e ciò rinnova il dolore che mai è passato, è solo stato zittito dal rumore della vita. In quelle emozioni abbiamo però la vita che ci ha lasciato chi non c’è più, dandogli riconoscimento concreto della sua vera importanza per noi. Ecco, in quell’istante vive in noi, riacquistando corpo laddove lo spirito, eterno e vivo, non l’ha più”.

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