Territorio estraneo: riappropriarsi della propria dignità

territorio estraneo riappropriarsi della propria dignitàIn una comunità che partecipa i cittadini si riappropriano del territorio in cui abitano.

Ognuno si fa carico di controllare che tutto funzioni bene; la pulizia, la sicurezza, l’incolumità, il benessere ecc. non si demandano ad altri, sono di responsabilità comune.

Personalmente ad esempio, se trovo un fazzoletto di carta abbandonato sul pavimento di una classe, mi inchino, lo raccolgo e lo butto nel cestino, perché quello è il mio territorio che condivido con gli altri e lo tengo pulito.

Ci sono purtroppo degli adolescenti a cui i genitori insegnano: “sporca pure, tanto i bidelli sono pagati per pulire!”. Questi genitori inquinano l’animo dei figli, tramandando generazioni di immondizia, e ciò è molto triste.

Nella società rurale, se il bambino o ragazzo adottava un comportamento pericoloso o inadeguato, qualunque adulto aveva il diritto e il dovere di intervenire come “buon padre di famiglia” per evitare problemi.

I genitori ringraziavano e sapevano di potersi fidare a lasciar andare in giro i loro figli da soli, perché potevano contare sulla presenza vigile ma non invasiva di tutti gli altri cittadini.

Lo stesso dicasi per i furti. Un tempo tutto il villaggio sapeva quando eventuali malintenzionati giungevano in zona e i vicini di casa controllavano le abitazioni degli altri quando si assentavano.

In epoche di miseria non c’erano enormi ricchezze da rubare, ma gli attrezzi per il lavoro, gli animali da allevamento, i frutti dell’orto ecc. per i poveri avevano un valore simile a quello che oggi hanno per noi i computer, gli smartphone e le automobili, perciò vi era solidarietà nel controllo reciproco.

Lo stesso avveniva per i richiami di aiuto: se una persona era vittima di violenza, gli altri intervenivano in suo favore, l’intero villaggio si mobilitava per riportare l’ordine.

Non è difficile capire che se il quartiere è casa mia, allora voglio che sia trattato bene, perché voglio viverci bene.

Oggi magari mi sento nel pieno delle mie forze, ma un incidente, una malattia, o anche solo il passare degli anni mi possono rendere impacciato e ostacolato nelle mie funzioni quotidiane.

In una società sana, una persona disabile viene accolta da tutti e tutti se ne sentono responsabili, controllandolo quando è da solo (lo aiutano per strada, in negozio per far compere ecc.).

Un tempo il cosiddetto “scemo del villaggio” portava il caffè, si rendeva utile e poi magari socializzava con altre persone per un paio d’ore. In tal modo ognuno scopriva che in lui, pur essendo presenti delle difficoltà, vi erano anche molte risorse e qualità che potevano essere di utilità a tutti.

Oggi non c’è più il senso del territorio, ci si isola, specie nelle grandi città, ma anche nei piccoli centri urbani, elevando muri verso chi consideriamo estraneo.

In tal modo lo straniero è già in noi e questo non ci permette di poter integrare coloro che per disgrazie di vita arrivano da contesti troppo differenti da quei paradisi artificiali e illusori in cui ci si è rinchiusi volontariamente.

La dignità morale agita con i fatti mantiene sani e fortifica il benessere della mente e del corpo.

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